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Molti di noi si sono ritrovati con il cuore spezzato ad un certo punto della vita. Essere lasciati può comportare un dolore immenso e influire negativamente sulla nostra salute fisica e psicologica, paralizzandoci. Nei casi più gravi, la fine di un rapporto può portare alla depressione. Ma perché essere lasciati è così doloroso?
Essere lasciati è come andare in astinenza
Secondo recenti studi, i postumi emotivi della fine di una relazione assomigliano a quelli dell’astinenza da droghe, perché il dolore che si prova nell’essere lasciati attiva le stesse aree del cervello. Quindi, se amore significa dipendenza, un cuore infranto significa astinenza. Astinenza da una persona o da una relazione.
Proprio come un tossicodipendente cerca la dose con qualsiasi mezzo e manca completamente di giudizio, chi viene lasciato inizia a fare cose che esulano dal suo comportamento abituale e che prima non avrebbe mai fatto. Ad esempio, è disposto a umiliarsi per tornare insieme all’altra persona, oppure si trasforma in uno stalker.
Essere lasciati riapre le ferite dell’abbandono
Essere lasciati significa far sanguinare di nuovo le ferite dei vecchi abbandoni, che le nostre difese psicologiche si erano tanto impegnate tanto per farci dimenticare. Sfortunatamente, il corpo non dimentica. Per chi ha subito dei traumi relazionali, come l’abbandono da parte di un genitore o di un partner, l’impatto psicologico ed emotivo della fine di una relazione può scatenare sintomi post-traumatici.
Questo spiega perché anche la fine della relazione più breve può sembrare la fine del mondo. Il nostro dolore non riguarda mai soltanto la persona che ci ha lasciato nel momento presente. Riguarda anche tutte le perdite che abbiamo subito fino a quel momento della nostra vita.
Quando il tempo non è abbastanza
Il processo di guarigione di ognuno di noi dipende da diversi fattori. Fortunatamente, ci sono alcune strategie a cui possiamo ricorrere per mantenere la lucidità e fare un passo in più verso la guarigione.
Legittimiamo il dolore.
Essere lasciati spesso comporta un’enorme sofferenza per le ragioni appena illustrate. È importante riconoscere e legittimare queste emozioni, e non minimizzarle. La società tende a farlo, non considera la fine di una relazione tanto importante quanto altri eventi destabilizzanti, come il divorzio o la morte di un nostro caro. Ma questo non significa che il nostro dolore valga meno, semplicemente perché non legalizzato attraverso il matrimonio o non legittimato dall’opinione comune.
Se ci concediamo tempo per vivere questo dolore, resistendo alla tentazione di annegarlo nell’alcol, nel cibo o nel lavoro, aiuteremo il nostro io futuro. Concediamoci tempo per piangere. Cerchiamo l’aiuto degli amici, della famiglia o di un terapeuta professionista. Facciamo quello che ci sentiamo di fare.
Rinunciamo alle false speranze.
La speranza è una cosa buffa. Può essere la nostra ancora di salvezza quando lo tsunami della vita rischia di travolgerci. Ma quella falsa può essere il colpo che ci affonda. La falsa speranza è tanto invitante quanto l’inganno. Come una droga, ci può far stare meglio al momento, ma sta ritardando uno scontro inevitabile.
Quando riusciamo ad accettare la situazione, ad abbandonare le nostre delusioni, ecco che comincia la guarigione.
Eliminiamo la fonte della nostra dipendenza.
Come per qualsiasi altra dipendenza, la prima fase della terapia consiste nel sospendere o ridurre la sostanza di cui si è abusato: in questo caso la persona che ci ha lasciato. Restare amici subito dopo la rottura non farà che prolungare la nostra sofferenza. Questo non significa che non si possa essere amici del proprio ex, nel futuro; è controproducente farlo nella fase iniziale della rottura.
Evitiamo qualsiasi contatto, cancelliamo tutte le informazioni che abbiamo del nostro ex e blocchiamolo sui social. Se non è possibile darci un taglio netto, non ci resta che tentare di ridurre il più possibile i danni. Cerchiamo di limitare i contatti il più possibile, eliminare o accantonare tutti i ricordi materiali, come foto o regali, e evitare i social media.
Non idealizziamo.
Spesso, quando perdiamo qualcuno d’importante, tendiamo a idealizzarlo, a ricordarci solo le cose belle, dimenticandoci degli errori e dei motivi per cui la relazione non ha funzionato.
In quei momenti, è importante fare i conti con la realtà. Gli amici o il terapeuta possono aiutarci a ricordare tutti i motivi per cui la nostra storia è finita. Possiamo anche buttar giù una lista di 3 – o 20 – motivi per cui il nostro ex ci innervosiva o ci rendeva infelici. Lo scopo non è demonizzarlo, ma ricordarci dei suoi aspetti negativi per controbilanciare l’idealizzazione, quell’idea malsana che non troveremo mai più nessuno come lui/lei.
Non esageriamo con i sensi di colpa e l’autocommiserazione.
Quando veniamo lasciati, tendiamo a prenderla sul personale. Anche se la nostra parte razionale sa che la fine della relazione non rappresenta necessariamente la nostra inadeguatezza, l’altra parte, quella più vulnerabile, crede il contrario. “Perché non ero abbastanza per lui/lei? Cosa c’è di sbagliato in me? Se fossi stato più bello/ricco/intelligente (sostituire a piacere) non mi avrebbe lasciato…” Questo può diventare: “Sarò mai abbastanza per qualcuno? Ci sarà mai qualcuno che mi vorrà?” e così via. È facile restare intrappolati nel circolo vizioso dei sensi di colpa e dell’autocommiserazione ma dobbiamo ricordarci che è inutile, oltre che dannoso: la consapevolezza è la chiave per uscirne.
Sebbene sia dura rendersene conto quando la ferita è fresca, il dolore di essere lasciati diminuirà fino a sparire. Ogni relazione ci insegna qualcosa su noi stessi. Ci insegna quello che vogliamo e non vogliamo dal nostro partner. Ogni volta che finisce una relazione sbagliata, ci avviciniamo di più a quella giusta.
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Redazione di Belproblema.com
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