Comportamenti autolesivi

Alcune persone si sentono così vuote e fredde dentro che si feriscono per sentire di avere un corpo, collegato a una sensazione.

Perché ci facciamo del male? Perché anche se sappiamo che alcuni comportamenti ci faranno stare male continuiamo a perpetuarli? Perché alcune persone si procurano del dolore volontariamente?

Non è facile dare una risposta a questi interrogativi poiché la mente umana è complessa e molti nostri comportamenti hanno svariate cause.

CHE COS’È IL SIB?

La sigla SIB indica il Self Injurious Behaviour, ovvero comportamenti di autoriferimento (Autolesionismo). Con tale termine indichiamo quelle “azioni intenzionali, ripetute, e a bassa letalità che alterano o danneggiano il tessuto corporeo, senza che vi sia un intento (almeno cosciente) suicidario”.

Chi sono questi soggetti? E quali sono le persone più a rischio? Seguendo la letteratura a riguardo i soggetti più colpiti sono adolescenti, e giovani adulti, soprattutto di genere femminile. L’esordio, solitamente, avviene all’età di 13-15 anni in cui tali comportamenti tendono a cronicizzarsi per all’incirca una decina di anni fino a quando il ragazzo o la ragazza non raggiunge una “maturità affettiva” e quindi tali azioni cessano.

CARATTERISTICHE DEL SOGGETTO SIB

  1. Solitamente sono di genere femminile: probabilmente ciò è dovuto al fatto che nella nostra cultura i comportamenti aggressivi sono più “accettati” ed “espressi” dalla popolazione maschile, al contrario di quanto avviene nell’universo femminile che deve più reprimerla e contenerla.
  2. Spesso oltre all’autolesionismo si evidenziano anche condotte alimentari di tipo bulimico a cui si alternano tali condotte autolesive.
  3. Spesso oltre all’autolesionismo si evidenzia anche una profonda depressione, e pensieri di tipo anticonservativo.
  4. Spesso tali soggetti odiano il proprio corpo e non si piacciono.

PERCHE FARSI DEL MALE?

Le persone si feriscono per tanti motivi: si sentono morte dentro, non in connessione con il loro corpo ed il dolore fisico (“si sente”) paradossalmente è l’unico modo che hanno per sentire e quindi per esistere, per sentire di avere un corpo collegato ad una sensazione. Dal racconto di alcuni soggetti, paradossalmente, tali condotte generano euforia e piacere. Tale sensazioni di sollievo avviene poiché è come se il dolore fisico distogliesse l’attenzione dal dolore psicologico, dal vuoto di cui queste persone sono portatori. Quindi tali condotte illudono il soggetto di poter aver un “controllo”, poiché tali azioni è come se facessero meno paura rispetto al dolore psicologico.

Le cicatrici sulla pelle sono visibili all’altro è pertanto occorre evidenziare quanto queste condotte siano una richiesta di aiuto verso l’Altro.

CARATTERISTICHE DEL FENOMENO

La letteratura empirica attesta una sempre più allarmante diffusione di tale fenomeno.
La caratteristica peculiare della condotta autolesionista è il costante pensiero di ferirsi, di farsi del male, e tale pensiero diventa più forte nei momenti di stress.

Chi si fa del male tenta a volte di resistere a questi pensieri, spesso non riuscendoci, ma c’è anche chi organizza dei veri e propri rituali attorno all’atto lesivo come ad esempio preparare gli strumenti da utilizzare. Tali soggetti, prima dell’atto autolesivo riportano sentimenti di rabbia, delusione, tensione, depressione, solitudine e senso di vuoto incolmabile, ma anche senso di impotenza o di colpa, che fanno scattare tale meccanismo. E ciò conduce ad una sorta di coazione a ripetere in cui il soggetto non riesce a sottrarsi.

Lo scopo del comportamento autolesivo è una valvola di sfogo, una via di scarica che permette di espellere via i pensieri negativi, e li mette a tacere. Altre persone cominciano, invece, a farsi del male per via di “sensazioni di estraneità“, di alienazione dal proprio corpo, ed il dolore, il sangue che fuoriesce, e che scorre, sembrano servire a farle ritornare coscienti della realtà, a farle “diventare vive d’improvviso”.

LE CAUSE DEL FENOMENO

Spesso alla base di questi stati emotivi così negativi, di queste sensazioni di vuoto interiore e freddezza, ci sono situazioni di perdita, sia fisiche sia affettive, rifiuto reale o percepito, abbandono, minacce di perdita, o trauma che suscitano un aumento di tali sensazioni, a cui si associa spesso l’incapacità di verbalizzare i sentimenti, esprimerli o comunicarli a qualcuno. Esistono svariati metodi con cui gli autoferitori si procurano le ferite, i quali non si escludono a vicenda, ma comunemente alcuni tendono a farlo in un solo modo, quasi identificandosi con questo particolare comportamento, come quelli che in America si fanno chiamare “cutters” (tagliatori) o “burners” (bruciatori).

Dagli studi che abbiamo a disposizione le modalità di farsi del male sono le seguenti: grattarsi le ferite, tagliarsi o farsi incisioni sulla pelle, grattarsi le ferite, colpirsi, mordersi, scavarsi la pelle fino a farsi uscire del sangue, bruciarsi, raschiarsi.

Un limite delle ricerche empiriche è costituito dal fatto che la maggior parte di tali azioni non arriva dal medico, poichè tali soggetti si “autocurano”.

Per concludere, occorre dire che per prevenire e trattare tale problema occorre andare nel profondo del problema ed aiutarle a comprendere che queste condotte rappresentano un tentativo disfunzionale di sopperire ad un dolore ancora più grande. Tali persone è come se si procurassero un dolore più grande per non sentire quel vuoto.

Il trattamento, appunto, si fonda sulla comprensione delle cause di tali condotte e sul far riflettere il soggetto che il dolore non cancella il dolore, al contrario lo accresce.

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Stefano Tricoli

Psicologo psicoterapeuta, specializzato in Psicoterapia Psicoanalitica, esperto nel trattamento di giovani adulti con disturbi di ansia, dell’umore e di personalità.

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